La sera dell’Ultima Cena, quando sa che sono oramai poche le ore che lo separano dal dono cruento della vita sulla Croce, Gesù lascia un testamento spirituale ai discepoli, e in essi a tutti noi. Inaspettatamente si alza da tavola, depone le vesti, prende un asciugamano e se lo cinge attorno alla vita. Poi versa dell’acqua nel catino e comincia a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si è cinto.
Un gesto riservato ai servi, che ora viene caricato di un forte significato simbolico. Ai segni del potere Gesù preferisce il potere dei segni: un grembiule, un catino d’acqua, un asciugamano; strumenti che gli consentono di vivere fino in fondo il suo farsi servo, l’essere venuto per lavare i piedi di tutti noi, viandanti per le strade polverose della vita.
“Voi mi chiamate il Maestro e il Signore – dice agli attoniti discepoli alla fine della lavanda – e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”.
Si diventa maestri quando si serve, e si è signori perché si serve.
Non possiamo vivere da veri discepoli se non ci facciamo lavare le sporcizie e risanare le ferite dalla Misericordia di Dio (Confessione).
Allo stesso mondo, non possiamo gustare la gioia della beatitudine se a nostra volta non riempiamo il catino dei nostri cuori con l’acqua dell’amore (Comunione) e ci chiniamo e riversarla sui piedi polverosi e sanguinanti degli altri (Carità).
“Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica”.
Don Michele Fontana